Numerosi colleghi (in pensione e fra i più avanti negli anni) ci hanno chiesto di riepilogare il quadro normativo regolante le elezioni politiche che si terranno l’ormai imminente 25 di settembre, con specifico riferimento alle modalità di nomina (o selezione) dei parlamentari della prossima legislatura.
La legge elettorale con la quale siamo chiamati a esprimere il voto il prossimo 25 settembre è la stessa delle ultime elezioni politiche, tenutesi nel 2018; con però due modifiche, attinenti una alla composizione del Parlamento e l’altra agli aventi titolo a votare per il Senato. Il numero dei deputati passerà infatti da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200, mentre l’età per conseguire il diritto al voto è stata uniformata a 18 anni, sia per la Camera sia per il Senato.
Detta legge elettorale – conosciuta come ‘Rosatellum’, dal nome del parlamentare che l’ha concepita – prevede che un terzo dei seggi (147 per la Camera e 74 per il Senato) venga assegnato con il sistema maggioritario e due terzi (245 deputati e 122 senatori) con un sistema proporzionale ‘nazionale’. Nel ‘maggioritario’, che prevede un solo rappresentante per collegio, risulterà eletto il candidato che ottenga anche solo un voto in più del secondo, mentre nel proporzionale la scelta degli eletti (da 1 a 8 a seconda della configurazione del collegio) avverrà attraverso un meccanismo di liste (di nominativi) bloccate dalle segreterie dei partiti e quindi senza la possibilità per gli elettori di esprimere alcuna preferenza.
Questa, in sintesi, la composizione numerica del prossimo Parlamento:
- Camera dei Deputati, 400 elementi, dei quali
- 147 (il 37% del totale) eletti con sistema maggioritario e collegio uninominale,
all’estero.
● Senato della Repubblica, 200 elementi, dei quali
- 74 (il 37% del totale) eletti con sistema maggioritario e collegio uninominale,
- 122 (il 61% del totale) eletti con sistema proporzionale tra coalizioni e liste,
- 4 (il 2% del totale) eletti con sistema proporzionale per le circoscrizioni
all’estero.
Come si vota
Il meccanismo della scelta dei parlamentari (deputati e senatori) è lo stesso per i due rami del Parlamento.
Per ciò che attiene all’uninominale, basta un segno su di un simbolo di lista o sul nome del candidato; mentre per ciò che attiene al proporzionale a ogni simbolo segue una breve lista di nominativi, bloccata, fra i quali non è data possibilità di esprimere preferenze. Non è possibile il voto disgiunto, e cioè scegliere un candidato all’uninominale non collegato alla lista scelta per il proporzionale.
Due connotazioni del sistema proporzionale poco conosciute
Le soglie di sbarramento per la parte proporzionale
Nel prossimo Parlamento, per avere dei seggi le liste debbono ottenere almeno il 3% dei voti (nazionali), mentre le coalizioni debbono ottenere almeno il 10%.
Sotto il 3%, i voti dei partiti facenti parte di una coalizione sono completamente persi se non raggiungono l’1% dei voti nazionali e sono proporzionalmente riversati alle altre liste della colazione ove si attestino tra l’1% e il 3%.
Conciliazione dei dati conseguiti a livello ‘nazionale’ con quelli conseguiti a livello di collegio
La ‘conciliazione’ può presentare dei problemi (o meglio ‘difficoltà’ per l’individuazione dell’eletto) in alcuni casi del ‘proporzionale’, soprattutto alla Camera dei Deputati.
Il Paese infatti è suddiviso in 28 Circoscrizioni (escluso l’estero), suddivise a loro volta in 49 Collegi plurinominali. I Collegi, a seconda della consistenza e della configurazione, possono eleggere da 1 a 8 deputati; ed è qui che i partiti presentano i candidati (ogni partito, da 1 a 8 candidati) in listini bloccati ed è qui, pure, che in relazione ai voti riportati nel collegio i singoli partiti maturano il diritto a veder eletti i propri rappresentanti (da ‘1’, per l’appunto, ai teorici ‘8’ qualora in un collegio tutti gli elettori dessero la loro preferenza a un unico partito).
La ripartizione dei seggi del ‘proporzionale’ però – per i partiti che a livello nazionale superano il 3% dei voti – avviene su base nazionale, sicché il numero dei deputati spettanti ‘a livello nazionale’ a un partito può non coincidere (e spesso non coincide) con la somma dei deputati spettanti a quel partito ove i conteggi fossero limitati a livello di Collegio senza tener conto dei ‘resti’, e cioè della somma dei voti riportati dai candidati dello stesso partito primi esclusi nell’assieme dei collegi.
In altri termini, mentre è chiaro (e in fondo ‘giusto’) che il partito che ottenga il 20% dei voti nazionali abbia diritto a ottenere il 20% dei complessivi deputati eleggibili con il proporzionale (e cioè, a Montecitorio, 49-50 deputati), è pur vero che il complessivo numero (nell’ipotesi: ‘50’) di tali deputati deve essere calato a livello di Circoscrizione e di Collegio, con riferimento alle posizioni marginali degli eletti o ai quozienti o resti attribuibili ai primi ‘non eletti’ delle stesse liste di partito nei collegi in cui il partito sia presente.
Con il risultato che ove la somma del numero dei seggi spettanti a uno o più partiti a livello di circoscrizioni non coincida con il numero dei seggi spettanti a quei partiti a livello nazionale si dovrà procedere a delle ‘correzioni’, per le quali occorrerà togliere un seggio al partito che a livello di circoscrizioni (rispetto al livello nazionale) ne ha uno di troppo e assegnarne uno al partito che sempre a livello di circoscrizioni (rispetto al livello nazionale) ne ha uno in meno.
Ma in quale collegio il partito ‘eccedente’ debba perdere o cedere il suo seggio, e quello ‘deficitario’ guadagnarlo, è questione che dipende dal livello delle ‘frazioni’ dei quozienti conseguiti da quelli e dai partiti concorrenti in tutti i collegi del Paese. Con possibilità che un seggio marginale acquisito da una lista in un collegio (supponiamo del Piemonte) possa determinare, per la sua incompatibilità con il numero dei seggi spettante a quel partito a livello nazionale, uno spostamento di seggi in una o più altre regioni (in Basilicata, in Calabria), attraverso un complicato gioco di resti e di frazioni di quozienti che, a parità di seggi nazionali per il singolo partito, porta all’elezione di rappresentanti di quel partito in regioni nelle quali i candidati non avevano raggiunto il numero di voti necessario (senza i ‘resti’) all’elezione stessa.
Con buona pace dell’intellegibilità e della trasparenza dei meccanismi elettorali.
Roma, 19 settembre 2022
Coordinamento Pensionati Mario Pinna – Antonio Signorello