LA  PEREQUAZIONE  DEI  TRATTAMENTI  DI  PENSIONE NELLE  LEGGI  FINANZIARIE  PER  IL 2023 E PER IL 2024

Incoraggianti prime risposte positive in merito ai procedimenti avviati a contestazione della legittimità costituzionale delle misure in materia di perequazione disposte per il biennio 2023-2024

Già a luglio e a ottobre dello scorso anno, e quindi nel mese di febbraio di questo, abbiamo riferito in merito alla procedura, e allo stato della procedura, che la Cida aveva impiantato per la contestazione, sotto il profilo della legittimità costituzionale, delle misure in materia di perequazione contenute nella legge finanziaria per il 2023. Misure fortemente riduttive dei coefficienti di adeguamento all’inflazione degli anni 2022 e 2023, soprattutto con riferimento ai trattamenti di pensione di livello medio e medio-alto; e ancora, misure che rischiano di essere reiterate, se non addirittura accentuate, nella legge finanziaria di prossima emanazione.

Rammentiamo inoltre che, al riguardo, la Cida aveva attivato ben sette ricorsi, facenti capo a soggetti con vita professionale e decorrenza di pensione tra loro assai diverse, con scelta di sette diverse sedi giudiziarie proprio al fine  – come scrivemmo –  di  ‘cogliere le differenze di sensibilità che gli organi giudicanti possono mostrare con riguardo a motivazioni di casi individuali affatto analoghe’.

Cinque delle sedi giudiziarie adite si sono già espresse in senso per noi negativo; mentre le due rimanenti (il Tribunale di Monza e la Corte dei Conti di Roma) debbono ancora pronunciarsi, nel prossimo novembre e a giugno 2025. Con pronunce, però, che allo stato, pur conservando la loro rilevanza, sono ininfluenti ai fini del raggiungimento dell’obiettivo primario della nostra contestazione, e cioè la sottoposizione alla Consulta della questione di legittimità costituzionale dei criteri di rivalutazione delle pensioni introdotti dall’art.1, c. 309, della Legge di Bilancio 2023.

Infatti, pronunciandosi su casi analoghi (‘fotocopia’) a quelli rappresentati dalla Cida, la Corte dei Conti di Firenze e la Corte dei Conti della Campania, con Ordinanze depositate rispettivamente il 6 e l’11 settembre, hanno rimesso alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità dei tagli all’indicizzazione delle pensioni previsti  per il 2023 e per il 2024.

La Cida, visto che riprendono e avvalorano le sue posizioni e che potranno perciò essere di utilità per i nostri due giudizi ancora pendenti,  non solo valuta in modo affatto positivo le due Ordinanze, ma neppure esclude un suo diretto intervento nel giudizio costituzionale. Con il deposito di una sua c.d. ‘opinione’, consentito agli enti non lucrativi (che assumono il ruolo detto di ‘amicus curiae’) che siano portatori di interessi collettivi attinenti alle questioni di costituzionalità volta a volta esaminate.

Riportiamo a seguire, nel testo in riquadro e così come colte dalla Cida, alcune considerazioni tenute in conto e a base della questione di legittimità costituzionale sollevata dalle due Ordinanze:

  • Il giudizio di ragionevolezza, che è servito in passato a legittimare norme analoghe alla Legge di Bilancio 2023, si fonda sul fatto che tali norme venivano considerate strettamente connesse con il rispetto del Patto di Stabilità. Il giudice della corte dei conti della Toscana osserva invece che la Legge di Bilancio 2023 è stata una manovra espansiva, non soggetta al rispetto delle regole del Patto di Stabilità, momentaneamente sospeso;
  • La legge di bilancio 2023 ha reintrodotto il meccanismo di rivalutazione “a fasce”, (la percentuale di rivalutazione si applica sull’intero importo pensionistico) più sfavorevole di quello a scaglioni, venendo così meno ai principi costituzionali della proporzionalità della retribuzione e della dignità del lavoratore;
  • Il potere d’acquisto dei pensionati è affidato esclusivamente allo schema di indicizzazione. Se si considera poi che ad oggi i trattamenti pensionistici non sono più calcolati solo con regole retributive, il raffreddamento dell’indicizzazione non è un “correttivo” ex post ma sostanzialmente un’imposta;
  • La legge di bilancio 2023 prevede un contrasto agli effetti negativi dell’inflazione solo in relazione al contributo dell’1,5% previsto per i titolari delle pensioni non superiori al minimo. La tendenza inflazionistica elevata ha invece ripercussioni notevoli su tutti i trattamenti;
  • Non riconoscere una piena tutela previdenziale significa: a) non rispettare il valore del lavoro come principio fondante della repubblica, b) non tener conto dei sacrifici e dell’impegno dell’ex lavoratore; c) rendere appetibile il lavoro nero e ostacolare l’occupazione giovanile e femminile;
  • Il sacrificio imposto ai pensionati non è temporaneo ma definitivo perché la legge di bilancio 2023 si pone in termini di continuità con altre disposizioni analoghe da oltre 20 anni;
  • La lesione che subiscono i pensionati con trattamenti pensionistici più elevati comporta una lesione “ultra dimidium” perché la rivalutazione è inferiore alla metà rispetto al valore integrale individuato come base di calcolo;
  • Anche con riferimento al tasso di interesse legale che spetterebbe a ogni pensionato, solo le prime tre fasce assicurano un trattamento non inferiore al tasso legale;
  • Quindi il pensionato, da lavoratore è stato obbligato a versare contributi e oggi si trova a subire le conseguenze negative dettate dalle decisioni del legislatore, senza alcuna possibilità di tutela

Sin qui l’aggiornamento sullo ‘stato’ della questione di legittimità costituzionale delle norme sulla perequazione contenute nella Legge di Bilancio 2023. Con evoluzione che anche noi del Coordinamento Pensionati del Sindirettivo, al pari della Confederazione di riferimento, valutiamo come passo positivo e utile comunque alla difesa delle nostre ragioni, ancor quando i suoi effetti si limitassero a far desistere i futuri esecutivi dalla reiterazione dei provvedimenti punitivi della perequazione che vengono assunti da oltre vent’anni.

Molti dubbi, invece e realisticamente, nutriamo in ordine alla possibilità di recuperare il c.d. ‘mal tolto’, e cioè le somme o parte delle somme che ci sono state sottratte (o, se preferiamo, che non ci sono state riconosciute) per gli anni considerati nei ricorsi – il 2023 e il 2024.

E ciò non tanto per ragioni di diritto e di equità, fondandosi la nostra contestazione di quelle norme proprio sulla loro iniquità e irragionevolezza, quanto piuttosto per ragioni di entità del mal tolto, non insignificante ai fini dell’equilibrio e della quadratura del bilancio dello Stato.

 Ci limitiamo in proposito a riportare i numeri pubblicati da alcuni quotidiani a diffusione nazionale, per i quali la rivalutazione per fasce introdotta dall’attuale esecutivo consentirebbe un risparmio      

    . di 32 miliardi di euro nei dieci anni sino al 2032, e

    . di 1 miliardo aggiuntivo nel 2025, ove solo l’attuale taglio fosse confermato per l’anno.

Importi che se per un verso sono indicativi di quanto i ‘tagli’ da noi subiti concorrano all’equilibrio dei conti statali, sono pure e per altro verso indicativi dell’entità delle risorse che a nostro avviso ci sono state e continuano a esserci indebitamente sottratte.  

            Ci riserviamo di dare pronta informativa sul seguito delle Ordinanze e sui passi che a margine dovesse attivare la nostra Confederazione.

                  Roma, 18 settembre 2024

Coordinamento Pensionati Mario Pinna Antonio Signorello

                                                                                                                                                                          

 

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